Fidenato e Ogm in Italia sono sinonimi. Fidenato infatti è il cognome di un agricoltore friuliano di nome Giorgio favorevole alle colture geneticamente modificate che per anni ha cercato di piantare illegalmente mais del tipo Mon810 brevettato dalla multinazionale Monsanto nei campi della sua azienda, nel comune di Vivaro. Tutte le volte che ha fatto ricorso a un tribunale italiano, Fidenato se l’è visto tornare indietro. L’anno clou è stato il 2015 quando sia il Tar del Friuli Venezia Giulia che il Consiglio di Stato hanno respinto il suo ricorso. Il Consiglio di Stato ha motivato la decisione ricordando che in attesa dell’adozione di misure comunitarie, uno stato che fa parte dell’Unione europea “può decidere se e per quanto tempo mantenere in vigore le misure d’emergenza nazionali adottate”.
Il giudice aveva anche riconosciuto che i ministeri della Salute, dell’Agricoltura e dell’Ambiente avevano “correttamente ritenuto che il mantenimento [da parte di Fidenato, ndr] della coltura del mais Mon810 senza adeguate misure di gestione non tutelasse a sufficienza l’ambiente e la biodiversità, così da imporre l’adozione della misura di emergenza contestata”. Il nostro Paese stava applicando il sacrosanto principio di precauzione.
Fidenato, però, non si è dato per vinto e ha fatto ricorso anche alla Corte di giustizia europea e il verdetto è arrivato pochi giorni fa, il 13 settembre. La Corte ha chiarito tre aspetti.
Il primo è che la Commissione europea non è tenuta ad adottare misure di emergenza sugli ogm se non c’è un grave “rischio e manifesto” per la salute umana e degli animali, o per l’ambiente, anche se stimolata da un stato membro.
Il secondo è che se anche la Commissione non adotta misure questo non significa che uno stato non possa adottarle a livello nazionale e di rinnovarle finché la Commissione non prenda una decisione.
Il terzo aspetto è quello che ha creato parecchia confusione sui mezzi d’informazione. La Corte, infatti, ha chiarito che gli stati non avrebbero potuto adottare misure di emergenza come il divieto di coltivare mais ogm – come invece previsto dal decreto italiano del 2013 – a meno che non avessero accertato che il prodotto ogm in questione non comportasse un rischio “grave e manifesto” per la salute umana e per l’ambiente.
Su questo punto Fidenato e i sostenitori degli ogm hanno esultato. Ma Fidenato può festeggiare solo per la sua vicenda personale visto che il quadro normativo in vigore in Italia rimane invariato e gli ogm continuano a essere vietati perché, proprio nel 2015, l’Unione europea ha deciso di fare chiarezza adottando una direttiva sulla possibilità per gli stati membri di limitare o vietare la coltivazione degli ogm sul loro territorio. La direttiva è molto chiara e recita così: “La coltivazione può richiedere maggiore flessibilità in certi casi, essendo una questione con forte dimensione nazionale, regionale e locale dato il suo legame con l’uso del suolo, le strutture agricole locali e la protezione o il mantenimento degli habitat, degli ecosistemi e dei paesaggi”. E aggiunge che “gli Stati membri hanno diritto di adottare atti giuridicamente vincolanti che limitano o vietano la coltivazione degli ogm sul loro territorio, dopo che per tali ogm è stata rilasciata l’autorizzazione all’immissione in commercio dell’Unione”.
Eppure in molti, tra siti e commentatori, hanno usato il verbo “bacchetta” in riferimento alla sentenza della Corte europea che ha dato ragione a Fidenato e non all’Italia. Come fosse un là verso lo sdoganamento degli ogm sui campi agricoli del nostro Paese. Non è così. La Corte ha solo tutelato un cittadino dal punto di vista burocratico perché effettivamente in quel preciso momento storico il decreto italiano aveva anticipato ciò che l’Europa ha poi mutuato e fatto proprio: il principio di precauzione.
La questione di fondo, dunque, rimane invariata: l’Italia può continuare a vietare le sementi ogm per proteggere l’ambiente anche solo in presenza di un rischio e non per forza di un danno “grave e manifesto”. Fidenato ha solo vinto una piccola battaglia sui tempi, non la guerra sui principi.