Chi dice che sul glifosato bisogna ancora scoprire molte cose non ha voglia di portare a galla l’iceberg di verità che si nasconde sotto la superficie. I dubbi, infatti, riguardano solo un aspetto. Sul resto, sugli effetti negativi che ha sul terreno e sugli esseri viventi che ne entrano in contatto sono evidenti.
L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha detto che probabilmente è cancerogeno e poi è tornata sui suoi passi. L’Unione europea non è riuscita a trovare una maggioranza per decidere se rinnovare o meno l’autorizzazione all’utilizzo del glifosato. Così Bruxelles ha dovuto sopperire alla mancanza dei 28 paesi europei e ha deciso di prolungare per 18 mesi, fino al 31 dicembre 2017, l’autorizzazione all’erbicida in modo unilaterale. Eppure proprio questa situazione di ambiguità non fa che aumentare le certezze di chi crede che l’erbicida glifosato sia da bandire una volta per tutte dai nostri terreni, da chi li lavora e da chi gode dei suoi frutti perché dannoso per la salute dell’ambiente e delle persone. Una dinamica molto simile a quella che aveva preceduto la proibizione dell’insetticida ddt negli anni Settanta. Anche allora l’Agenzia per la ricerca sul cancro (Iarc) che fa capo all’Oms parlò di “possibilità di effetti cancerogeni” dopo che la comunità scientifica ammise di aver sottovalutato i rischi. Poi il libro cult degli ambientalisti Primavera silenziosa di Rachel Carson fece il resto, risvegliando le coscienze e diffondendo consapevolezza e “costringendo” i governi a vietarlo. Oggi siamo nella fase di mezzo dove molti ricercatori sanno già quanto il glifosato faccia male prima di tutto alla terra e alla Terra.
Sono due, in particolare, le testimonianze che abbiamo raccolto in questi mesi di indagine e che è opportuno portare all’attenzione. Una è di un medico, l’altra di un fotografo. Il medico, Giovanni Beghini, è presidente della sezione di Verona dell’Associazione medici per l’ambiente – Isde Italia e presidente di Terra Viva il quale ha dichiarato nel video che, a causa dell’uso del diserbante, “il mondo agricolo ha perso la capacità di mantenere o sviluppare la quantità di sostanza organica che c’è nel terreno” trasformandolo “in un essere non vivente”. Effetti esattamente contrari a quelli che si hanno attraverso pratiche agricole che rispettano la natura, come il biologico o il biodinamico.
Ancor prima di capire quanto faccia male agli esseri umani che ne assumono anche piccole dosi quotidiane attraverso l’alimentazione, c’è da chiedersi se non siano sufficienti gli indizi già a disposizione, se non sia sufficiente quanto già si sa sui danni subiti da chi o cosa entra a contatto diretto con il glifosato. Esattamente quello che ci ha mostrato Pablo Ernesto Piovano, fotografo emergente di nazionalità argentina che ha attraversato in lungo e in largo il suo Paese scattando foto di lavoratori e famiglie che hanno subìto per anni la contaminazione diretta su larga scala. Piovano ci ha raccontato di Fabian Tomasi, un uomo sulla quarantina distrutto dai pesticidi e che dedica la sua vita per dare voce a tutte le vittime: “Tomasi ha lavorato per vent’anni in un’azienda di pesticidi, occupandosi del carico e scarico di aerei usati per spruzzare pesticidi sui campi agricoli”. Oggi, purtroppo, è lui stesso un esempio vivente di questi effetti. Solo in Argentina, solo nel 2012 sono stati spruzzati 370 milioni di litri di pesticidi su 21 milioni di ettari di terreno coltivati a soia ogm. Nelle immagini di Piovano si vede tutto ciò. E come non pensare che sia sufficiente? Le testimonianze raccolte finora non bastano per convincere i governi a vietare il glifosato una volta per tutte? La questione, dunque, è tutt’altro che ambigua, è tutt’altro che aperta. La pistola è già fumante.