Noncuranti della pioggia e del primo fresco autunnale, 79mila persone hanno partecipato alla dodicesima edizione di Internazionale a Ferrara, il festival con i giornalisti di tutto il mondo. Un nuovo record di presenze, una nuova conferma. Non solo di quanto ci sia voglia di eventi culturali come questo, ma anche del fatto che il loro successo non dipende dalla novità, quanto dal prestigio e dalla pluralità di voci in grado di raccontare e approfondire i più diversi temi internazionali. Perché non di solo cronaca (e like) vivono gli italiani.
L’arrivo in piazza a Ferrara, quest’anno, è stato di quelli che segnano. Il fumettista Gipi stava leggendo, sotto un cielo grigio che ogni tanto lasciava cadere qualche lacrima, i nomi di tutte le 34.361 persone morte (accertate) nel tentativo (vano) di raggiungere l’Europa alla ricerca di un futuro migliore. Un momento che Gipi immaginava sarebbe durato di più, salvo poi scoprire che «nella lista ci sono spesso gruppi di 50, 100 persone sotto un’unica voce: “nn”», ovvero nomen nescio, la dicitura latina che si usa quando una persona non è stata identificata.
La questione dei migranti è stata il filo rosso che ha unito i tre giorni visto che proprio in quei momenti si stava consumando un’altra vicenda che ha diviso l’Italia: l’attacco al “modello Riace” con il sindaco del paese calabrese Mimmo Lucano costretto agli arresti domiciliari, ora revocati. Davanti al teatro Comunale Gad Lerner e Ida Dominijanni hanno guidato una manifestazione di solidarietà per sostenere un’idea di accoglienza diversa. Un tema affrontato anche a margine dell’incontro al teatro Nuovo, promosso da Alce Nero – al suo quinto festival –, dal titolo “Il circolo virtuoso, l’agricoltura biologica come modello di economia circolare che coinvolge il cibo, i territori e il tessuto sociale”. Un dibattito che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Lorenzo Massa, del Politecnico di Losanna, della giornalista e scrittrice francese Nelly Pons e di Rita De Padova, presidente della Fondazione Siniscalco-Ceci Emmaus di Foggia.
Foggia è balzata alle cronache per la questione del caporalato. Nei primi giorni di agosto sedici migranti, che lavoravano in nero come braccianti, sono morti in due incidenti stradali mentre tornavano dal lavoro nei campi. Un esempio estremo frutto di un modello di economia sommersa che De Padova sta cercando di scardinare grazie alla sua fondazione. Un tentativo di rimettere “gli scarti umani” (citando un’espressione usata da papa Francesco) al centro grazie al miglior esempio di circolarità: l’agricoltura biologica.
“È un momento storico davvero difficile. Come se fosse stato dato sfogo alla ‘pancia’ delle persone, come se tutto ciò che passasse per la testa venisse sputato fuori, lanciando messaggi di odio, di esclusione”, ha raccontato De Padova. “Se non ci fossero i migranti, nessuno si occuperebbe di fare lavori come l’assistenza agli anziani, per esempio. Perché oggi viviamo un sistema di economia lineare che ha escluso le persone di una certa età”.
Nessuno nega che il sistema vada migliorato, ma quando “parliamo di migrazione, dobbiamo parlare anzitutto di risorsa. Il sistema deve essere aperto e si può migliorare, perché i difetti e gli errori esistono, ma il punto è che vanno sanati”. Il messaggio, dunque, è che non è possibile smettere di accogliere, di aprirsi aspettando che il sistema sia perfetto perché non lo sarà mai. Al contrario, i migranti che scappano da guerre, violenze, carestie non si possono fermare. Chi ha già perso tutto, tranne la speranza, è disposto a rischiare persino la vita.
A Ferrara, 79mila persone hanno parlato di tutto questo e molto altro. Senza urla e senza maiuscole, senza troll e senza insulti. Con buon senso e civiltà, con passione ed educazione. Che sia questo il vero ingrediente dell’economia circolare?